Chimica e Shoah: un approfondimento
Oggi si celebra la Giornata della Memoria. Perché è importante ricordare? Non si tratta solo di mantenere viva la memoria di chi siamo stati e di commemorare milioni di persone innocenti uccise crudelmente ma è un occasione per riflettere sul nostro passato, sul nostro presente e sul nostro futuro.
Comprendere come la discriminazione verso chi è diverso non può essere tollerata perché può sfociare in qualcosa di terribile. Educare alla tolleranza, alla giustizia e alla pace.
A tal proposito vi voglio raccontare di come la chimica sia stata protagonista di questo triste capitolo di storia e di come sia stata, per certi versi, la fortuna di alcuni e la condanna di altri. Partirò dalla storia di un famoso chimico e scrittore italiano che ha vissuto la Shoah e che grazie alla chimica ha potuto raccontare l’orrore vissuto in prima persona: Primo Levi.
Primo Levi e la chimica della salvezza
Chi è Primo Levi (riassunto breve). Primo Levi nasce a Torino nel 1919. Suo padre Cesare, ebreo praticante, è un ingegnere elettrotecnico. Pur essendo spesso lontano dalla famiglia per via del suo lavoro riesce a trasmettere a suo figlio l’interesse per la scienza e la letteratura.
Dopo la maturità classica si iscrive al corso di laurea in chimica presso l’università di Torino. Nel 1938 entrano in vigore, in Italia, le leggi marziali che introducono gravi discriminazioni nella società ai danni dei cittadini ebrei.
Nonostante le leggi marziali precludessero l’accesso allo studio universitario agli ebrei, concedevano a chi già aveva intrapreso il percorso di studi di concluderli. Primo Levi riesce così a terminare i suoi studi. Il diploma di laurea riporterà la dicitura “di razza ebraica”.
Nel 1942 Primo Levi si trasferisce a Milano e trova impiego alla Wander AG una società svizzera che si occupa di prodotti farmaceutici dedicandosi allo studio di alcuni farmaci contro il diabete. In questo periodo viene a contatto con gli ambienti antifascisti ed entra nel Partito d’Azione clandestino.
La sua esperienza partigiana termina il 22 febbraio del 1944 quando, insieme ad altri 650 ebrei, uomini e donne, viene obbligato a salire su un treno merci che viaggerà per 5 giorni verso il campo di concentramento di Auschwitz.
Una volta giunto ad Auschwitz e identificato dal tatuaggio 174 517 viene selezionato tra i pochi ritenuti idonei al lavoro (circa un centinaio dei 650 del suo gruppo). Viene unito ai diecimila prigionieri che lavorano per la Buna, una fabbrica di gomma. Appena arrivato in fabbrica, grazie alla sua formazione e laurea in chimica, entra nel laboratorio di analisi chimiche della Buna. Una fortuna che gli farà ottenere camicia e mutande nuove.
Nei suoi racconti Primo Levi parlando del laboratorio dirà: “in laboratorio la temperatura è meravigliosa: il termometro segna 24 gradi”.
La chimica è stata la salvezza di Primo Levi che lo ha preservato fino alla liberazione permettendogli di diventare un importante testimone dell’orrore dell’olocausto ma l’industria chimica tedesca ha avuto anche un ruolo determinante nello sterminio finale.
La chimica dell’orrore
Nell’agosto del 1941, per velocizzare il genocidio ebraico, viene utilizzato l’acido cianidrico come composto inorganico tossico al posto del monossido di carbonio. L’acido cianidrico, anche noto come acido prussico e commercializzato al tempo con il nome commerciale di Zyklon B, è un composto inorganico molto tossico perché si lega all’enzima di membrana citocromo ossidasi, coinvolto nella respirazione cellulare e nella produzione di ATP, il “carburante” delle nostre cellule, rendendolo incapace di legare ossigeno indispensabile per il suo funzionamento.
Come si moriva con lo Zyklon B? La conseguenza era l’immediata ipossia e la morte in maniera rapida e molto efficace.
Questo composto veniva già utilizzato nei campi di sterminio, in piccole quantità, per il controllo dei parassiti nei prigionieri. Per legge il composto era addizionato di un potente agente odorifero che serviva ad avvertire del pericolo della presenza del composto chimico. Ai chimici dell’azienda Degesch, industria chimica che forniva i campi di queste sostanze, venne richiesto di produrre il composto senza l’indicatore olfattivo così da poterlo utilizzare senza scatenare il panico nei deportati chiusi nelle camere a gas.
Le scelte delle industrie chimiche di assecondare le richieste dei generali del Terzo Reich così come tutte le situazioni in cui qualcuno ha preferito chiudere gli occhi davanti a tale barbarie hanno permesso tutto ciò.
Ecco perché ricordare e mantenere viva la memoria può essere un modo per evitare, nel presente e nel futuro, che tali orrori si ripresentino di nuovo.